Speranza

Ho fatto un voto: da oggi in poi, scriverò tutti i giorni (o quasi). Anche solo qualche riga, ma tutti i giorni (o quasi). Anche solo per dirti: coucou, ci sono (o quasi!).

Trovo, infatti, che sia un insulto al fiume in piena di Amore e di Creatività, che mi scorre dentro, non farlo frequentemente, girandoci intorno e dedicandomi ad attività che mi gratificano o stordiscono sul momento ma non mi nutrono profondamente.

Quindi, mi legherò alla sedia, come Vittorio Alfieri, e lascerò uscire le mie, sempre fervide, elucubrazioni mentali.

E ora vai con la narrazione!

Stamane, dopo aver accompagnato mia madre a fare gli esami del sangue (poveretta, la stanno rivoltando come un calzino), mi sono rinchiusa al Cineteatro Baretti. Uso il termine rinchiusa in modo improprio. Farebbe, infatti, pensare a qualcosa che imprigiona, toglie l’aria. Per me, invece, le ore trascorse al cinema, con il telefono spento, a vedere un bel film, rappresentano la quintessenza dell’evasione.

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Il film prescelto, che volevo vedere al Cinema Massimo in lingua originale, ma che come mio solito ho perso a forza di rimandare, era…rullo di tamburi…

THE OLD OAK diretto da Ken Loach e sceneggiato da Paul Laverty

Prima di parlarti di questo film meraviglioso, per il quale ho esaurito le riserve idriche del mese, voglio fare un accenno alla proiezione del lunedì mattina al Baretti. E’ un’idea recente, che trovo assolutamente apprezzabile, nata dai gestori del cinema i quali hanno deciso di fare questo esperimento. Al momento, il numero medio è di una quindicina di persone. Per me, l’ideale. Ma mi rendo conto che loro auspicherebbero altri numeri, per questo motivo mi auguro che l’iniziativa abbia successo, che possano rientrare dei costi e portarla avanti, nell’interesse di tutti.

Ricordo ancora la nascita di questo cinema di seconda visione. Tra i fondatori, un amico di mia sorella. Quindi, all’epoca avevo seguito la vicenda da vicino. Negli anni, questo luogo si è ritagliato uno spazio importante nel panorama cinematografico torinese, con rassegne interessanti e una scelta settimanale molto accurata.

Il film ti assorbe dal primo istante, trattieni le lacrime fino al punto in cui non ne puoi più e inizi a zampillare.

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Le tematiche sono quelle care a Ken Loach: i deboli, la “guerra tra poveri”, la denuncia di una società ai margini, la solidarietà, la rinascita che passa attraverso ciò che nella vita fa sentire gli uomini connessi gli uni agli altri.

Questa è la mia umile interpretazione.

Per la trama rimando ad altri siti, in cui persone più ferrate di me sapranno catturarvi con recensioni di impatto.

Non ho altro da raccontare per oggi. Ti lascio con una frase che Yara, protagonista femminile (siriana, fuggita dalla feroce e disastrosa guerra), dice a TJ Ballantyne, protagonista maschile (inglese del nord, deluso da se stesso e dalla vita): “Se smetto di sperare, il mio cuore smette di battere”.

Credo che sia il più bel messaggio con cui posso salutarti.

Non smettiamo mai di sperare, ma soprattutto di costruire affinché la speranza si innalzi su solide fondamenta.

Con Amor,
FF

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