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Sorrisi

Stamane ho avuto un risveglio tumultuoso. Credo sia imputabile innanzitutto all’assunzione serale di zuccheri. La mia ipersensibilità, ahimè, ha anche questo come corollario. Gli zuccheri, come le bevande eccitanti, mi danno superpoteri, poco utili la sera, direi.

In secondo luogo, durante la notte ho fatto tantissimi sogni che mi hanno spossata. Il tema dominante è stato il tentativo di altri di costringermi a stare dove non volevo e/o a fare ciò che non volevo, facendo leva su senso di colpa e senso del dovere, miei inseparabili compagni di viaggio. La cosa positiva, della quale vado estremamente fiera, è che in entrambi i sogni che toccavano questi nodi ho saputo affermarmi con decisione e dire: me ne frego di quel che dici/vuoi tu, io faccio ciò che voglio.

È davvero la svolta per me. E ne sono felice.

Ciononostante, stamane, mi sento come se mi fosse passato un tir addosso, andata e ritorno, come per accertarsi che io sia davvero esanime.

Questa affermazione richiama alla mia memoria un ricordo: durante il mio percorso universitario ho trascorso un semestre a Liège, Belgique. Un’esperienza che non mi ha lasciato una traccia particolarmente positiva, più che altro per la mia incapacità di godere della bellezza della vita. Ho infatti trascorso quasi tutto il periodo china sui libri, stile Leopardi. Il mio perfezionismo mi ha sempre piuttosto impedito di vivere con leggerezza. Inoltre, il pessimo rapporto con l’autorità mi ha sempre fatto temere oltre misura gli esami, in quanto espressione del giudizio di qualcuno autorizzato, all’occorrenza, a farmi a pezzi.

Tuttavia, qualche nota divertente c’è stata. Ad un certo punto, mia madre ha deciso di rifornirmi di viveri, di prodotti buoni e genuini, ma soprattutto italiani. Ricordo questo pacco stracolmo di leccornie. Al suo interno, svettava un salame di cospicue dimensioni che, malauguratamente, non entrava nel mini frigo della mia stanza in affitto nella periferia della città. Una specie di Bronx nel quale mi ero ritrovata senza capire bene come e perché, ma nel quale avevo accettato di stare perché davanti all’edificio si trovava un commissariato di polizia (salvo scoprire, il giorno successivo, che chiudeva alle 15!). Ma, come si sa, quel che non uccide fortifica e questo è divenuto un po’ il mio mantra.

Ma torniamo al nostro salame: poiché non entrava nel misero frigo e il freddo belga del lontano ’95 lo permetteva, ho deciso di posizionarlo sul davanzale della finestra della mia cameretta.

Il giorno dopo, acquolina in bocca, apro la finestra per associare alla consueta birretta (quanta ne ho bevuta…) l’agognato pane e salame, quando scopro che del salume non vi è traccia. Basita, comincio a formulare le più bizzarre congetture sino a che il mio sguardo piomba sulla strada e scorge la carta stagnola che avvolgeva il salame, ma del suddetto nessuna traccia. Scendo trafelata come una gazza ladra che crede di aver appena scorto un diamante e scopro che del salame è rimasta solo la pelle perché, probabilmente, vi era passato sopra, e credo più volte a giudicare dalla strage che ho trovato, il tir parcheggiato vicino.

Il seguito è piuttosto divertente, visto con gli occhi di oggi. Ho chiamato mia madre la sera per raccontarle l’accaduto. Piangevo disperata, non tanto per il salame, ma per la pena che provavo per non aver saputo prendermi cura di un dono fatto da lei. Lei, con il suo proverbiale spirito pratico, mi ha risposto: “amore, se continuiamo a stare al telefono mi costa più la telefonata del salame!”.

Ebbene, per ovviare al mio stato d’animo da “salame stirato da un tir” oggi ho deciso di preparare il mio zaino “professionale”, sul quale ho fatto cucire dalla sarta di zona, Daniela, una donna rumena forte e coraggiosa, ma soprattutto instancabile, un cuore stretto in un pugno sormontato da fiori colorati (simbolo della mia forza femminile, come la definisce la cara amica Cristina), dono di Angela, una splendida creatura colombiana conosciuta in occasione di un progetto che ho seguito all’interno del FAI (Fondo Ambiente Italiano), presso il quale ho prestato la mia opera volontaria per più di un anno.

Io ci vedo un cuore chiuso in un pugno, ma forse è solo un cuore…

Con lo zaino colmo per ogni evenienza (leggerò, scriverò, mi occuperò di scadenze domestiche?), sono partita alla volta di uno dei miei posti del cuore.

Si chiama Orso Laboratorio Caffè. Sono loro cliente affezionata sin dall’apertura. Quando ancora vi era Giulio, uomo dalle encomiabili prestazioni da intrattenitore (celebre la sua frase “grazie di esistere”) e grande professionista del settore.

Ho conosciuto questo luogo, nel quale ho passato momenti indimenticabili e ho fatto incontri molto interessanti (alcuni dei quali divenuti amicizie), in un’occasione particolare.

Una sera di alcuni anni fa mi sono imbucata ad una cena danese, organizzata da un diplomatico che abita e lavora qui a Torino (non ricordo bene la sua qualifica, ma ricordo di avergli chiesto se potevo partecipare all’evento scovato su Torinosette, in quanto appassionata di paesi nordici e ancor di più dei loro abitanti!). Tra una chiacchiera e l’altra con le persone al tavolo, è venuto fuori il nome del posto in questione. All’epoca, un bar con un tale approccio al caffè e alle sue preparazioni era cosa piuttosto insolita.

Incuriosita, il giorno successivo mi ci sono recata.

È stato un colpo di fulmine: è un luogo per me inebriante e rassicurante al tempo stesso. È uno dei primi posti in cui vi porterei se veniste a trovarmi.

E, in effetti, molti dei miei incontri casuali fatti in giro per la città sono stati traghettati proprio lì! Per esempio, Phil e Amanda, i miei angeli terreni americani, conosciuti una sera da Eataly e incontrati il giorno successivo per mostrare loro la mia meravigliosa città. Quanto adoro questi incontri!

Io, in versione Jimi Hendrix, e Amanda

Ancora due chicche sul locale. La prima è che c’è la possibilità di portare (e lasciare lì) la propria tazza/tazzina e chiedere che il caffè venga servito al suo interno, ogni volta che ci si reca (non so dire se vi siano ancora posti liberi!). La seconda è che all’interno delle loro tazze/tazzine vi è un numero che corrisponde a un “fondo di verità” riportato, dalla loro sciamana di fiducia, in una “carta” che potete trovare all’interno del locale (talvolta, fuori). Un richiamo alla lettura dei fondi di caffè. Quando ho scoperto queste due idee anni fa, le ho trovate davvero geniali!

Concludo raccontandoti un aneddoto delizioso, legato ad un incontro fatto oggi: mentre stavo camminando dalla fermata del bus verso Orso, ho intravisto, sull’angolo di una strada, un’asiatica con la macchina fotografica in mano. Aveva l’aria timidissima e spaesata. Le ho sorriso, con uno dei miei sorrisi che sgorgano dal cuore e per i quali spesso vengo fermata e ringraziata dagli estranei, e sono andata oltre.

Ad un certo punto, ho avuto la sensazione che vi fosse qualcuno dietro, pur non sentendo alcun rumore, mi sono girata e ho visto lei, la fanciulla alla quale avevo sorriso. Mi ha raccontato che studiava all’Accademia delle Belle Arti e doveva fotografare, per un progetto, delle persone per strada. Ha aggiunto che le sarebbe piaciuto che le facessi da modella e mi ha chiesto se ero disponibile. Dopo aver escluso che una creatura così soave avrebbe fatto un uso illegittimo delle immagini scattate, mi sono lasciata fotografare, vincendo le mie innate resistenze in tal senso.

Il sorriso che mi ha regalato dopo questo scambio mi ha illuminato il cuore. Credo che lo ricorderò a lungo.

Il sorriso ha una potenza straordinaria. Ricordiamocelo.

Con Amor,
FF

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