Le Lune passano, i giorni pure, ed io mi ritrovo sempre più nella stagnazione.
I pensieri occupano tutto il mio spazio vitale. Non solo i miei, anche quelli degli altri. Le sofferenze, soprattutto. Assorbo come una spugna.
La sensazione è quella di essere nelle sabbie mobili. Più sto ferma, e mi arrovello, e più divento immobile e chiedo a qualcuno di tirarmi fuori. Tra l’altro, così en passant, mi chiedo perchè non si chiamino sabbie immobili, considerato che una volta dentro la mobilità è alquanto ridotta!
Dicevo che chiedo agli altri di tirarmi fuori, a volte lo pretendo e lo faccio in un modo gentile ma sottilmente manipolatorio. Io che inneggio alla libertà, con la stessa enfasi di un predicatore di grandi folle, poi mi ritrovo a cercare di indurre gli altri a fare ciò che è nelle mie aspettative.
Non ne vado particolarmente fiera, ma so che fa parte delle mie zone d’ombra, di una parte bambina che ancora urla per essere salvata, che crede che la salvezza arrivi sempre e solo dagli altri. Quanto è duro a morire questo schema!
Ma la buona notizia è che la vedo, la sento, ma soprattutto che grazie all’aiuto che non mi arriva, e non mi arriva davvero in nessun modo, sento la forza ruggente che è in me. Forse ne ho anche già parlato, come potrebbe essere diversamente, d’altronde, se non riesco a muovermi dal punto in cui mi trovo? Anzi, questo sarebbe proprio un esempio significativo di cosa rappresenti girare sempre intorno agli stessi pensieri.
Di questo rimuginare fa parte anche un certo grado di difficoltà, riluttanza la definirei, a interrompere schemi tossici, di dipendenza. L’esempio classico è quello della dieta che uno dovrebbe iniziare il lunedì. l lunedì, come le lune, si avvicendano ma le abitudini non cambiano o, quanto meno, non cambiano alla velocità che vorremmo.
Spendo una parola buona nei miei, come negli altrui, confronti: cambiare certi schemi è un processo molto lungo. Il cervello si è strutturato in un certo modo e dargli un nuovo imprinting non è qualcosa di immediato. Ma è possibile. Ed io mi aggrappo a questa parola: possibilità che, unita alla forza, mi dà l’energia per non arrendermi e procedere nel mio cammino.
Uscire dalle sabbie immobili è possibile. Non entrarci in futuro è l’obiettivo.
So che quanto vivo non è solo mio. Ho finalmente finito di leggere, di recente, il libro di Galit Atlas “L’eredità emotiva“, di cui ti ho parlato in passato. E’ stato illuminante. Il retaggio delle precedenti generazioni è dentro di noi; il peso dei traumi, delle ferite, vive in noi. Io so da sempre di portare molti fardelli non miei. So anche di avere il potere di liberarmene e, indirettamente, di guarire quelle ferite.
Perchè sì, quando guariamo noi guariamo anche gli altri. Ed ecco che il predicatore è tornato!
Io, quindi, procedo. Procedo con tutta me stessa.
Una piccola grande nota positiva: ieri sera da La Trota che fuma, nuovo locale che ha aperto sulle risorte ceneri di Beva, ho incontrato Felipe, conosciuto tempo fa da Paltò. Ho fatto con lui una lunga e intensa chiacchierata che mi ha fatto bene al cuore. Mi sono sentita vista, ascoltata, compresa. Non incontro frequentemente persone che parlano la mia lingua emotiva, ma quando accade mi sento così in pace. Tanto che quando stamane mi sono svegliata ho provato un piacevole senso di leggerezza.
La vita è fatica, ma è anche costellata di scie luminose (non mi riferisco a quelle chimiche!).
Ti abbraccio, anima in cammino.
FF
Brano consigliato: “Go west” dei Pet Shop Boys.