Non poteva mancare una pagina scritta il giorno 11.11.
Da quando, infatti, credo nella presenza angelica che ci sostiene e ci protegge, tutto ciò che è comunemente ritenuto un segnale della loro presenza entra nella mia sfera “sensitiva”.
I numeri doppi sono uno di questi casi. In particolare il numero 11:11, per lo più riferito all’orario, ma che può anche essere riferito a giorno e mese, rappresenta un nuovo inizio (tra le numerose interpretazioni) ed io lo amo particolarmente.
Parlare di nuovo inizio, infatti, mi mette sempre di buonumore perché mi dà fiducia e speranza. Stasera ne ho bisogno. Sono malinconica. Ieri è stata una giornata delirante, piena di illuminazioni e di nuove e importanti conquiste personali, ma fortemente destabilizzante (e stancante) per una persona emotiva come me. Come spesso accade, quando vivo momenti così intensi il giorno dopo sono piuttosto priva di forze e anche un po’ nervosa. Per esempio, stasera ho litigato con Deliveroo, che poi chissà con chi, probabilmente con un’intelligenza artificiale, che non parlava manco bene l’italiano, per una pizza consegnata 40 minuti dopo il ritiro dalla pizzeria.
L’unica cosa che mi cura in certi momenti è mettermi al computer ad ammirare e nutrire la mia creatura. E così ho fatto, dopo aver mangiato una pizza fredda che mi “inchiummau” per dirla alla calabrese e aver provato a guardare, senza particolare trasporto, la serie tv su Robbie Williams.
L’ho presa alla larga, come faccio spesso. Ho iniziato trascrivendo tutti i titoli delle canzoni che avevo già utilizzato, per non ripetermi, e poi ad un certo punto mi sono detta, più o meno gentilmente: “Scrivi!”
Mentre facevo questo lavoro “di segreteria” ho riascoltato alcune canzoni che ho consigliato nelle varie pagine ed è stato con James Vincent Mc Morrow che non ce l’ho più fatta e mi sono commossa. Piangere ha un potente effetto catartico su di me. Diciamo che piango e rido facilmente. Almeno in questo, sono equilibrata.
A proposito di piangere, mi è venuto in mente quando ho partecipato al seminario di teatro di Danny Lemmo (te ne ho già parlato? Come ti ho detto in passato, ho poca memoria, quindi finirò per ripetermi e di questo mi scuso). Un’esperienza che ha cambiato la mia esistenza in positivo, mettendomi per la prima volta in un contatto molto profondo con le mie emozioni. Confesso che mi ero invaghita di lui, artisticamente di sicuro, forse anche un po’ su altri piani, ma questo è rilevante solo nella misura in cui questo mio sentimento mi ha permesso di abbattere tutti i muri che all’epoca ergevo per proteggermi dal mondo esterno e di vivere un’esperienza straordinaria.
Il momento culminante è stato in occasione di un lavoro fatto su una poesia tratta dall’Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters. La conosci? Tra l’altro, di recente ho visto alla Feltrinelli di Porta Nuova la versione della casa editrice “La nave di Teseo”, che mi è parsa molto bella.

Io ho scelto a caso questa poesia, ma ormai saprai che nella mia visione di vita il caso non esiste:
“Sarah Brown
Maurice, non piangere, non sono qui sotto il pino.
L’aria profumata della primavera bisbiglia nell’erba dolce,
le stella scintillano, la civetta chiama,
ma tu ti affliggi, e la mia anima si estasia
nel nirvana beato della luce eterna!
Va’ dal cuore buono che è mio marito,
che medita su ciò che lui chiama la nostra colpa d’amore:-
digli che il mio amore per te, e così il mio amore per lui,
hanno foggiato il mio destino – che attraverso la carne
raggiunsi lo spirito e attraverso lo spirito, pace.
Non ci sono matrimoni in cielo,
ma c’è l’amore.”
Traendo spunto dalla poesia scelta abbiamo dovuto scrivere un racconto inventato, ricostruire la storia di quella persona di cui avevamo letto solo l’epitaffio. E sulla base dell’emozione provata, del sottotesto del racconto, scrivere una storia che parlasse di noi.
Ricordo di aver avuto solo una minima paura iniziale di non riuscire a svolgere il compito, ma di essere stata ben presto posseduta da un fuoco sacro che non avevo mai sentito.
Una volta giunta a lezione, mi sono proposta per esporre il mio lavoro. Era una cosa piuttosto insolita per me, da sempre piuttosto timida e introversa, ma la pulsione che sentivo era troppo forte per non farlo.
Ricordo di aver preso la parola e di aver scoperto una parte di me che non conoscevo. La sensazione è stata meravigliosa, di presenza e di pienezza. Ho presentato il mio lavoro. Ho pianto tanto, singhiozzato persino. Il maestro era lì, mi guardava con occhi adoranti e con un atteggiamento amorevole mi ha esortata a recitare la poesia, tenendo ben salda quell’emozione. Ne è uscito un capolavoro.
Quando ho terminato, tutti erano in piedi e applaudivano. Il maestro era commosso. Io fuori di me dalla gioia.
È stato uno dei momenti più belli della mia vita.
Da quel momento il varco del mio patrimonio emotivo si è aperto e nulla è stato più come prima.
Consiglio il teatro a chiunque voglia conoscere se stesso, lenire le proprie ferite, aprirsi all’altro, mettersi in discussione. È una scuola di vita molto preziosa.
Ora ti saluto, vado a letto, quel che dovevo dirti io te l’ho detto, canta Max Gazzè ne “Il solito sesso”.
Con Amor,
FF