Ieri mattina mi sono svegliata in preda a una forte inquietudine. Cosa non nuova per una persona ansiosa come me. Credo che gli esperti mi definirebbero un’ipersensibile. E un po’ mi ci ritrovo in questa definizione perché tutto, nel mio corpo e nelle mie emozioni, si muove e si manifesta in modo amplificato. Il problema non è tanto, o non solo, gestire questo mio lato, ma trovare persone che non mi liquidino in malo modo, dandomi dell’esagerata, della lagnosa o, nella peggiore delle ipotesi, della malata immaginaria.
Quando l’ansia si presenta in modo imponente, so che è un segnale che qualcosa non va, ma ho spesso difficoltà ad individuarne la causa. Anche e soprattutto perché perdo la centratura e finisco in una centrifuga di pensieri che mi impedisce di ascoltare il mio intuito che, come per tutti, non sbaglia mai.
Ieri mattina, per esempio, l’ho scoperta a posteriori. Ed è un bene perché, prima o dopo, che mi giudichi o meno per ciò che non è ancora immediato, sto imparando ad ascoltarmi. E di questo sono fiera.
Lascia che ti racconti.
Da qualche anno, mi reco in una palestra a Torino (il suo nome è Vitesse), un luogo che ho scelto perché è a misura d’uomo e vi è una particolare attenzione al corpo (e alle sue eventuali magagne) e ad un allenamento calibrato e funzionale al benessere psico-fisico (non vi troverete nessun “pompato”, per intenderci!). Infatti, si inserisce in un più ampio contesto comprensivo di studio fisioterapico e osteopatico. Devo dire che ve ne sono poche in città con queste caratteristiche, almeno che io sappia. Un’altra è la Jolla Centro Atletico, che ho bazzicato per anni sino a che non ho sentito l’esigenza di cambiare aria.
Ebbene, in questo periodo ho una fastidiosa tendinite al gomito e, poiché il dolore non è del tutto scomparso e io non sono particolarmente temeraria, ho rinnovato l’abbonamento alla palestra Vitesse con una certa titubanza.
Frequento la palestra tre volte a settimana, unicamente per il corso di ginnastica dolce, insieme a persone che anagraficamente sono più vecchie di me ma che nulla hanno da invidiare, sotto ogni aspetto, a persone più giovani. Sono un grande esempio e uno stimolo incredibile a prendermi cura del mio corpo, facendo movimento con regolarità.
Per tornare a ieri, ho trascorso l’ora di lezione con una discreta dose di ansia, sebbene avessi segnalato la situazione all’insegnante. Temevo, infatti, di aver sottovalutato il mio problema e che, quindi, fare ginnastica, ne avrebbe aggravato i sintomi.
Morale: quando sono uscita, i miei timori si sono rivelati fondati e il gomito mi doleva molto; in quel momento, ho capito di aver fatto una cazzata. Esattamente come l’altro giorno, quando ho sollevato, sia pure con attenzione, le confezioni di acqua sia per me sia per mia madre.
Al di là degli sviluppi ulteriori, e delle possibili soluzioni che sicuramente ci saranno (per rifarmi ad una pagina de “Il libro delle risposte degli angeli” di Astrid Holm, “respira, in un modo o nell’altro le cose si risolveranno”), ciò che mi preme sottolineare è che la mia ansia aveva una ragione e che il mio intuito me l’ha segnalata.
Certo, il grillo parlante non ha mancato di dirmi che avrei potuto capirlo subito e risparmiarmi l’iscrizione mensile, soprattutto perché una volta giunta in palestra ho avuto precisi segnali che ho bellamente ignorato (l’impiegato era al telefono con la banca e per non perdere la lezione gli ho fatto segnato che avrei pagato all’uscita, al termine della lezione avevo già i primi sentori del dolore che sarebbe esploso nelle ore successive e avrei potuto limitarmi a pagare la lezione appena fatta), ma ho deciso di essere gentile con me stessa e di ripetermi che, prima o dopo, l’importante è ascoltarsi.
Se lo facciamo, l’ansia svanisce (o quanto meno si attenua) e si riprende un cammino sereno.
Purtroppo, non ho ottenuto ciò che volevo, ovvero la sospensione dell’abbonamento sino a che i sintomi non saranno scomparsi. Avrei dovuto chiedere al medico generico un certificato di inabilità temporanea a recarmi in palestra, cosa impossibile perché posso fare ginnastica. Solo, non posso fare una ginnastica, come quella di gruppo, che non sia mirata e non tenga conto del mio problema e per avere questo tipo di attenzione avrei dovuto pagare un personal trainer o comunque frequentare la sala pesi, che non amo.
In passato, mi sarei molto risentita per questa situazione (anche perché ho fatto presente il problema a poche ore dall’iscrizione) o, al contrario, avrei considerato dati in beneficienza i soldi appena spesi e non ci sarei più andata, ma questa volta ho scelto una soluzione intermedia: andrò spesso a fare tapis roulant, anziché andare a camminare fuori al freddo. E credo che glielo consumerò quel tapis roulant a forza di camminarci su!
Accantonata la questione, mi sono recata al cinema a vedere il secondo film di questa settimana: “Close” di Lukas Dhont.

Un film di straordinarie bellezza e introspezione. Léo, uno dei protagonisti, è di una bravura che impressiona. I suoi sguardi penetranti mi sono rimasti nel cuore. Del film mi hanno colpito molto la purezza e l’innocenza con cui i due ragazzini, Léo e Rémi, si confrontano all’inizio sino a che non intervengono il giudizio e il condizionamento esterno, tutta l’escalation dei fatti e la capacità di elaborarli, ognuno con i propri modi e i propri tempi. Non scenderò nel dettaglio. Fidatevi del mio parere: è un film da non perdere.
Per concludere, vi racconto un piccolo aneddoto divertente: prima di arrivare al cinema mi sono fermata in un locale lì vicino, Mr Pig, che fa panini, alla maniera che oggi va di moda, ovvero con la possibilità di sceglierne o uno con ingredienti già combinati da loro oppure abbinando a piacere ciò che è esposto in vetrina (ingredienti, condimenti, confetture, topping).


Poiché non avevo pranzato, ho pensato di fare provvista per quando sarei uscita dal cinema. Ho scelto un panino a forma di ciabatta con i semini sopra, farcito con hummus, melanzane e peperoni. Incartato e portato via.
Una volta giunta al cinema (in anticipo di 5 minuti), ho deciso di assaggiarlo. Dato il primo morso, non ho potuto più fermarmi. Avevo scelto l’ultima fila per compiere questo gesto scellerato in solitudine, ma non avevo considerato che nella fila davanti a me c’erano otto persone (delle dodici presenti in sala) e questo non ha facilitato la mia operazione, soprattutto quando, ad un tratto, si sono spente le luci e io sono rimasta con questo succulento panino (e il suo incartamento rumoroso più che mai) in mano. Panico! Non sapevo davvero cosa fare, qualsiasi movimento millimetrico faceva un rumore che, nel silenzio della sala, sarebbe stato più fastidioso di una zanzara nell’orecchio. Tenerlo in mano per tutta la durata del film?
Dopo due minuti ho scartato questa soluzione per non giocarmi l’unico gomito funzionante! Così, sono riuscita a spingerlo più possibile nell’incartamento e, approfittando di un secondo sacchetto che la ragazza mi aveva dato per non sporcare la borsa, l’ho appoggiato sul sedile di fianco a me. Un sollievo, sicuramente, ma il panino è rimasto aperto e ha profuso effluvi in tutto il cinema per un’ora e mezza! Non solo, all’inizio ho fatto una fatica micidiale a non pensare a quella leccornia e a concentrarmi sul film. Poi, per fortuna, il film mi ha catturata e non ci ho più pensato.
Bene, per oggi è tutto. Vado a dimenarmi a letto, metti il tappetino Mysa, togli il tappetino Mysa…
Vi racconterò anche di lui, del mio fedele compagno di viaggio, ma ora nanna o quel che l’è (per dirla alla milanese)!
Con Amor,
FF