Sono cresciuta in un sistema famigliare che non saprei se definire matriarcale o patriarcale.
Questo mi ha creato non poca confusione.
Credo di poterlo definire, dopo lunghe e approfondite osservazioni e analisi, un sistema matriarcale patriarcale.
Matriarcale perchè sono cresciuta con una madre e una sorella che ha sempre voluto farmi da madre. Questo è accaduto dagli 11 anni in poi, ovvero da quando mio papà è tornato alla Luce. Non so se l’ho già detto (se è così poco importa), ma mi piace l’espressione “tornare alla luce“, contrapposta a “venire alla luce”.
Queste due figure di genere femminile hanno una predominante energia maschile (e a tratti presentano anche aspetti cari al maschilismo) e ciò mi induce a ritenere che il mio sistema famigliare sia pertanto di stampo decisamente patriarcale.
Al di là del disorientamento che ho spesso provato per la (con)fusione dei ruoli (e qui parlo nello specifico di mia madre), quello che mi ha fatto sempre molto incazzare è stato un certo tipo di mentalità che vede l’uomo al centro dell’universo. Una figura senza la quale la donna non ha alcun valore. Una figura da curare e coccolare, da trattenere sempre e comunque, “perchè meglio quello che niente”. Un mettere la donna all’ultimo gradino di una scala di piaceri, bisogni, esigenze, sogni.
Certo, potrai dire che bisogna comprendere il background delle persone e il sistema in cui sono cresciute. Ma è ovvio! Questo però non esclude che crescere con un certo tipo di mentalità, quando tu dentro ti senti una suffragetta pronta a morire per i suoi ideali di libertà e di affermazione di sé, faccia davvero incazzare. Questo è il mio sistema famiglia e l’accettarlo, perdonandolo, è ciò su cui lavoro da quando ne ho coscienza.
Ho trovato questo concetto esplicitato in modo esemplare nel romanzo che sto divorando: “Santa” di Rosanna Turone. E’ della collana “Le fuggitive” della casa editrice NNE (sarebbe NN Editore, in realtà).

E’ una delle mie preferite. In particolare, questa collana ha catturato la mia attenzione, visivamente per una grafica e un colore accattivanti, nei contenuti per il fatto di trattare tematiche a me molto care, ovvero storie di donne che anelano all’affermazione di sé e dei propri diritti, alla libertà, appunto. Amo molto, nella quarta di copertina, la “ragione” per cui un lettore dovrebbe acquistare quel romanzo (“questo libro è per chi…”).

Tornando al discorso del salvare/trattenere l’uomo, che fa parte di un certo modo di vedere l’uomo e la donna, nel quale io non mi riconosco affatto e che per lungo tempo ho contrastato con tutta me stessa (ottenendo solo l’effetto opposto, ovvero di richiamare esperienze simili), l’altra notte ho fatto un sogno, che merita di essere condiviso.
Ero sul balcone di mia madre e assistevo a questa scena: un uomo si gettava nel vuoto; mia madre, nel tentativo di salvarlo/trattenerlo finiva giù con lui. In quel momento, ho provato un grandissimo senso di sollievo e ho pensato: “finalmente, è finita”.
Chiaramente, il “finalmente è finita” non si riferisce all’immagine tragica del sogno, che al contrario mi causerebbe grande sofferenza (i sogni sono sempre delle rappresentazioni simboliche offerte dal nostro inconscio e devono, quindi, essere interpretati), ma al prendere finalmente consapevolezza di questo schema, e nello specifico di un suo corollario, ovvero dell’effetto potenzialmente letale del cercare di salvare qualcuno che non vuole essere salvato, e al superarlo, tirando un bel sospiro di sollievo.
Che magia la vita. Non smetterò mai di ripeterlo.
Con Amor,
FF