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C’era una volta…

C’era una volta una bambina che stava davanti alla porta chiusa di una stanza, perennemente occupata dalla sua sorella maggiore, ma che in realtà doveva essere anche la sua, e bussava per ore per farsi aprire.

Piangeva, supplicava, si dimenava, ma niente. Quella porta non si apriva.

Quella bambina ero io.

In questi giorni, mi sono resa conto di quanto quella ferita mi abbia logorata dentro. Non ricordavo questi episodi in cui, a fronte della sensazione di non essere vista e accolta, io poi mi chiudevo in me stessa (e cercavo modi per punirmi). Credo, a posteriori, che il meccanismo fosse: “se non mi aprono, è perchè non valgo. E se non valgo, mi punisco”. Non dimentichiamo che ero solo una bambina, e per di più molto sensibile.

Recenti avvenimenti hanno riportato tutto questo a galla. E mi ha fatto male. Dio, quanto mi ha fatto male.

Pensiamo di chiudere i cassetti della memoria e che i mostri, al loro interno, non ci faranno più male. E invece, no. Non è così. Sono sempre in agguato e basta un incontro, una dinamica, un comportamento a rinverdirli più che mai. Per fortuna, mi verrebbe da dire, così abbiamo finalmente la nostra chance di guarire e di andare oltre.

Trovarmi di fronte a porte chiuse, che ho cercato di sfondare a testate, o a volte anche con la gentilezza, è stato il leit motiv di questo ultimo periodo. Quanto più una porta è chiusa, sprangata, tanto più sorge in me la ribellione e la tendenza a dire “questa volta, non accadrà più. Questa volta, tu mi aprirai”. Mi riconosco sicuramente una certa tenacia e una certa resistenza, ma al di là di quello mi riconosco tanta sofferenza dell’anima.

Sono certa che mia sorella avesse tutte le sue buone ragioni per non aprirmi, e non è di questo che voglio disquisire, quanto del fatto che alcuni comportamenti, apparentemente non gravi, possono incidere profondamente su di noi, sul nostro benessere emotivo, sulla nostra capacità di essere adulti centrati e in grado di avere relazioni armoniche con gli altri.

Dall’altra parte, certo che chi riceve i miei tentativi di sfondare quella porta si spaventa. Ne ha ben diritto. Come potrebbe essere diversamente? Come potrebbe sapere qual è il mio vissuto? E poi consideriamo che ognuno ha il suo bagaglio emotivo, le sue paure, le sue ferite e potrebbe non essere in grado di comprenderci, accoglierci, aprire quella porta (o non volerlo fare).

Ed ecco l’illuminazione: questa volta ho dato spazio e valore a quella bambina, fragile e indifesa, desiderosa solo di essere amata, e alla donna che sono diventata e che finalmente vede quella tenera creatura, dandole tutto l’amore di cui ha bisogno.

Diventare madre (o sorella o altro) di se stessi. Che meraviglia. Darci tutte quelle attenzioni e quell’amore che ci sono mancati. Che senso di pienezza.

La vera pienezza nasce da noi, non dall’altro. Sempre e solo da noi.

Grazie per aver letto queste righe su un tema così delicato e intimo.

Con Amor,
FF

Brano consigliato: “Lasciarsi un giorno a Roma” di Niccolò Fabi.

2 risposte

  1. Sorrido teneramente e gioisco di questa conquista impagabile. C’è pienezza più preziosa dell’ accogliere la propria vulnerabilità e darle uno spazio accogliente? Ti abbraccio e ti ringrazio di questa condivisione così delicata.
    Cri

    1. Ti abbraccio e ti ringrazio io, Cri, per darmi ascolto, comprensione e accoglienza. Per ricordarmi chi sono e per farmi sentire la forza che è in me, ogni volta di più. Non so se sarò così salda nelle mie conquiste, ma so che se ce l’ho fatta una volta, ce la potrò fare ancora…????

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